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Poco green a Sharm el-Sheik

di Caterina Boschetti, 15/11/2022

I big dei pianeta sono riuniti in Egitto per la COP27, ovvero la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022. Un incontro iniziato il 6 novembre e che finirà venerdì 18 novembre.

Ma cosa sta succedendo a Sharm el-Sheik?

Ahimè un mix di promesse e pochi fatti. Infatti i delegati dei 198 Paesi partecipanti non stanno trovando un accordo comune né sulle azioni per contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi né sul “loss and damage” come risarcimento per danni ai Paesi poveri. Oltretutto i Paesi produttori di greggio, a cominciare dall’Arabia Saudita, si sono schierati contro la proposta di una diminuzione graduale di petrolio e gas non permettendo quindi alcun passo avanti sulle fossili.

 

Ambientalisti, ma con il jet privato

La premessa da fare è che le potenze mondiali, chiamate a parlare del futuro del pianeta, sono tutte arrivate con jet privati, ben 400.

I passeggeri dei jet privati producono molte più emissioni pro capite rispetto a quelli dei voli commerciali. Infatti, secondo il gruppo europeo Transport and Environment, un jet privato può emettere due tonnellate di anidride carbonica in un’ora ed è da 5 a 14 volte più inquinante per passeggero di un aereo commerciale.
Questo dato non sbalordisce, infatti, sempre in settimana Oxfam ha pubblicato un report secondo il quale ciascuno dei 125 miliardari analizzati emette in media 3,1 milioni di tonnellate di CO2, contro le 2,76 tonnellate di una persona normale che fa parte del 90 per cento più povero dell’umanità.

 

L’impegno mancato degli Stati Uniti

Nel 2009 a Copenhagen, gli stati partecipanti alla conferenza sul clima decisero di dare annualmente cento miliardi di dollari ai paesi poveri per interventi di adattamento alla crisi climatica.  In questi anni Paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia però non hanno versato la loro parte.

Tuttavia, durante la COP27 l’America si è fatta bella comunicando che avrebbe versato 150mln di dollari per il progetto “Advancing Adaptation Action in Africa”, finalizzato a salvare milioni di vite e mezzi di sussistenza nel continente africano. In realtà gli Stati Uniti, per le sue emissioni, avrebbe dovuto versare in questi anni 40mld di dollari, ma l’unica quota inviata è stata pari a 7,6 miliardi.
Carine le briciole, n’est pas?

I Paesi invece che hanno aumentato i contributi nell’ultimo anno sono Giappone, Norvegia, Svezia, Italia e Paesi Bassi.

L’ONU evidenzia però che i paesi poveri avrebbero bisogno di duemila miliardi di dollari entro il 2030 per riuscire ad affrontare la crisi climatica. Una spaccatura che peserà a livello di ambiente e di inclusione sociale.

 

Rinnovabili, obiettivo italiano

In un convegno a margine della Cop27, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica italiano Gilberto Pichetto ha comunicato che l’obiettivo italiano è raggiungere i 70gigawatt in 6 anni per rispettare il target europeo del taglio del 55% delle emissioni di gas serra.

Secondo l’ultima analisi dell’associazione di categoria Anie Rinnovabili, nel primo semestre del 2022 l’Italia ha installato 1,21 gigawatt di nuova potenza rinnovabile, il 168% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. A guidare la crescita è il fotovoltaico, con 1.061 megawatt immessi nel Paese nel 2022.

 

Attivisti in azione

Gli ambientalisti internazionali hanno organizzato in questi giorni una serie di azioni per evidenziare diverse incoerenze della COP27.

In Spagna, per esempio, c’è stato un blitz di Futuro Vegetal al museo egizio di Barcellona contro la sponsorizzazione della Coca-cola. Gli attivisti hanno lanciato sangue e olio falsi sulle opere esposte al Museo.

Gia all’inizio di ottobre Emma Priestland, coordinatrice di Break Free From Plastic, aveva parlato di green washing dicendo “in quattro anni abbiamo riscontrato che nei nostri audit Cola-Cola è il principale inquinatore di plastica al mondo. È sbalorditivo che un’azienda così legata all’industria dei combustibili fossili possa sponsorizzare un incontro sul clima importante”.

In Italia invece gli attivisti di Fridays for Future hanno inviato un appello appendendo uno striscione dentro il Museo Egizio di Torino con scritto “Basta greenwashing. Free them All“. Liberateli tutti. L’intento è denunciare il contesto repressivo in cui sta avvenendo Cop 27, visto che dalle stime dell’ONG Human rights watch sono circa 60mila gli attivisti per il clima e per la democrazia arrestati e incarcerati ingiustamente nel Paese per volere del regime di Al Sisi.

 

Unicef, diminuisce la natalità

In occasione della COP27, Unicef presenta un report dove emerge che 2 su 5 giovani intervistati hanno riconsiderato il desiderio di avere figli a causa del cambiamento climatico.

La media sale a 1/2 in Africa dove gli shock climatici vissuti a causa della situazione ambientale globale sono stati più profondi e hanno compromesso l’accesso a cibo e acqua, oltre che al reddito familiare. 

Paloma Escudero, a capo della delegazione Unicef alla COP27, commenta “gli impatti dei cambiamenti climatici sono ormai tra noi, ma vanno ben oltre le inondazioni, la siccità e le ondate di calore. Si estendono al nostro stesso senso di speranza (…) i leader mondiali devono ascoltare l’ansia dei giovani e agire immediatamente per proteggerli”.

 

Greenpeace pubblica il monitoraggio periodico dei media italiani

Greenpeace annuncia il nuovo report sui media italiani rappresentativo del secondo quadrimestre dell’anno, nel periodo fra maggio e agosto 2022.

Questo monitoraggio esamina le modalità in cui viene raccontata la crisi climatica in

  • edizioni cartacee dei cinque quotidiani nazionali più diffusi ovvero Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa
  • telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 
  • campione di 6 programmi televisivi di approfondimento. 

In media vengono pubblicati tre articoli al giorno in cui si parla esplicitamente della crisi climatica. Tuttavia c’è un ampio spazio offerto dai giornali alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, che sono tra i maggiori responsabili del riscaldamento del pianeta.

Un esempio? Sul Sole 24 Ore sono presenti in media 5 pubblicità di queste aziende inquinanti a settimana, mentre la media su tutti i giornali è di 3 pubblicità a settimana.

Per quanto riguarda la televisione, nei programmi di approfondimento si è dato spazio alla crisi climatica in 104 su 385 puntate monitorate nei quattro mesi dell’indagine, pari al 27% del totale. 

Quello che preoccupa è che le fonti fossili e le aziende del gas e del petrolio vengano citate raramente tra le cause del riscaldamento globale, creando così un pesante silenzio sul green-washing fatto da queste realtà.

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