Il monito di Moby Dick
Moby Dick viene descritta come una balena bianca enorme, senza connotazioni etiche.
Un’imponente creatura simboleggiante l’indifferenza della natura nei confronti dell’uomo come ricorda il primo ufficiale Starbuck ad Achab quando cerca di frenare la sua vendetta
“Moby Dick non ti cerca. Sei tu, tu che insensato cerchi lei”.
Melville ci presenta con queste metafore la sfrontata espansione della società americana, intenta a proclamarsi dominatrice di mari e terre a discapito della natura.
Curioso che lo scrittore abbia notato questa inclinazione sociale nel 1851 e noi, dopo quasi duecento anni, siamo ancora intenti a spiegare l’importanza di tutelare le risorse naturali di un pianeta ormai allo scatafascio.
Caccia alle balene bianche e non solo
Alla conquista del mare! In altre parole Ocean Grabbing, il fenomeno geopolitico ed economico iniziato nel primo decennio del XXI Secolo. Si tratta dello sfruttamento degli oceani da parte degli stati.
É una specie di risiko dei mari che vede i vari Paesi accaparrarsi il territorio marino circostante in base alla convenzione dell’UN sul diritto del mare (Unclos).
I primi sono stati i russi che nel 2001 hanno messo la loro bandierina sull’Artico andando in contrasto con la Danimarca che ha cercato di rivendicare l’estensione come parte della Groenlandia.
Poi c’è stata l’Australia nel 2012 con 2,5mln di chilometri quadrati nell’oceano antartico. E così via.
Quali sono i rischi di questo subdolo gioco di conquista?
In primis la perdita risorse ittiche e la distruzione fondali marini a causa delle pesca a strascico.
Poi la limitazione del controllo e dell’accesso di comunità locali alle risorse ittiche a causa di questo sfruttamento esogeno.
Infine un maggiore spreco di risorse causato dalla pesca industriale di grandi flotte che, rispetto ai piccoli operatori, non sfruttano appieno il pescato ma creano diversi scarti che vanno gettati.
E l’alimentazione dell’uomo quanto pesa?
Ogni anno vengono consumate 155mln di tonnellate di pesce e il dato è previsto raddoppiare entro il 2050. Il problema è che il 70% del pesce selvatico è soggetto a pesca eccessiva, spesso a strascico provocando danni irreparabili al fondale marino. Inoltre i pescherecci che si occupano di questo rilasciano gasolio non solo per gli spostamenti, ma anche per mantenere il pesce refrigerato nel periodo di stoccaggio creando un’impronta di carbonio pesantissima.
Tanto valore, poca sostenibilità
Nel 2016 l’OCSE, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, aveva previsto che il mare sarebbe stato oggetto di molte attenzioni e che entro il 2030 sarebbe diventato un mercato dal valore di oltre 3mila miliardi di dollari.
Il problema è che oltre il 50% degli oceani ha già perso la sua biodiversità a causa dell’uomo, non solo per la sua attività di pesca, ma anche per l’inquinamento da lui causato.
Parliamo di una profonda e inquietante contaminazione del mare con microplastiche e altre sostanze nocive (che mi ha portato con diversi conati a diventare vegetariana, ndr).
Si tratta di un’economia gestita da poche aziende e, ovviamente, tra le prime dieci, 9 sono compagnie petrolifere. Che sorpresa, non ce lo saremmo mai aspettati (forse perché le estrazioni di gas e petrolio valgono 1,7mila miliardi l’anno e perché i 40% dei ricavi finisce nelle casse degli stati?!).
Lacune della giurisprudenza
Lo sfruttamento del mare è oggi possibile a causa di una diritto internazionale poco chiara e piena di lacune.
Le attività che stanno continuando a crescere ed espandersi sono legate alle tecnologie non ancora toccate dalla transizione ecologica come le perforazioni, turbine eoliche offshore, impianti di destalinizzazione, pescherecci industriali, trasporto marittimo,….
Questo dominio oligarchico su una risorsa che invece è di importanza mondiale dovrebbe spingere i giuristi a rivedere la convenzione dell’UN Unclos ormai risalente al 1994 che prevede delle zone economiche esclusive (ZEE) fino a 370km dalla costa, lasciando tuttavia l’oltre in balia dei vari Achab.
E ora?
Gli occhi sono puntati al vertice internazionale sulla biodiversità che avrà luogo in dicembre in Canada dove verranno fissati nuovi obiettivi da raggiungere entro il 2030, considerando che quelli fissati nel 2010 non sono stati raggiunti.
L’istituto tedesco di Advanced Sustainability Studies infatti, ha confermato che l’obiettivo di tutelare il 10% delle aree marine e costiere entro il 2020 non è stato mantenuto, infatti solo il 2,7% è stato protetto integralmente e il 7,7% lo è solo parzialmente.
Ora solo 1% dell’alto mare è protetto.