I rebranding non salvano il pianeta
DA ANTAGONISTA A FALSO EROE
Chi si ricorda il romantico dialogo tra Romeo e Giulietta? Quello dal balcone, quello in cui parlano dell’importanza del nome…
Ecco, ho provato a riscriverlo in una spinta di creatività letteraria:
Cosa c’è in un nome? Quella che chiamiamo ENI
con qualsiasi altro nome avrebbe un greenwashing altrettanto palese;
Infatti Eni Gas e Luce, controllata al 100$ da ENI, è diventata Plenitude.
Un rebranding che mi ricorda tanto quello di Total Energies che ha cercato di portare l’attenzione alle varie energie trattate, quando in realtà continua a investire sul petrolio e ad avere emissioni di CO2 di oltre i 400mln di tonnellate annue.
La domanda successiva è questa: com’è possibile che una realtà controllata da uno dei colossi delle fossili possa diventare società benefit e legarsi all’immaginario comune di impegno per l’ambiente e il sociale?
Ci stiamo forse dimenticando che ci siano condanne pendenti, multe internazionali e vari patteggiamenti legati a ENI?
Quello che mi colpisce del rebranding in Plenitude avvenuto lo scorso marzo, è che su Wikipedia si descriva come realtà “di vendita e commercializzazione di gas ed energia elettrica per famiglie e imprese con la produzione di energie rinnovabili e la gestione dei punti di ricarica per veicoli elettrici”.
Più che colpirmi, mi pettina i nervi al contrario, perché l’impegno di Pleniture non è così trasparente come sembra…
L’obiettivo principale comunicato nel sito è:
fornire 100% di energia decarbonizzata ai clienti entro il 2040, supportando gli obiettivi di Eni di azzeramento delle emissioni nette di CO2 Scope 3.
E perché non scrivere semplicemente “emissioni nette di CO2”?! Beh perché le emissioni scope riguardano le emissioni non prodotte direttamente dall’azienda, ma legate indirettamente alla sua attività, come l’uso dei prodotti venduti.
Et voilà! Semplice no? Basta dire una parte della verità.
PUBBLICITÀ E MANCATO CONTROLLO
Eni Plenitude oltretutto investe in attività di ambientalismo di facciata: dalla celebre sponsorizzazione di Sanremo alle pubblicità su giornali nazionali in cui campeggia lo slogan “è una nuova stagione per fare scelte consapevoli” (che detto dall’azienda che ha la capex 2021-2024 destinata alle fossili per il 65% fa abbastanza ridere, ndr).
Spero quindi che, dopo l’ordinanza del 26 novembre 2021 del Tribunale di Gorizia in materia di greenwashing, bloccare e limitare questo genere di comunicazioni fuorvianti diventi un’attività attenta e puntuale.
Ciò che mi preoccupa è il target di questo tipo di pubblicità, sì, perché le aziende si sono rese conto che le nuove generazioni, grazie ai movimenti Fridaysforfuture, There’s no planet B e ai discorsi di Greta Thumberg, stanno cambiando radicalmente i valori condivisi. Questi nuovi paradigmi stanno portando le imprese a comunicarsi a giovani promuovendo, spesso, attività sostenibili che in realtà non hanno una solida base strutturale e non sono seguite da una concreta strategia ambientalista.
É un po’ al pari di posizionare le merendine al supermercato vicino alla cassa ad altezza bambino, ma brutalmente più subdolo.
Plenitude, per esempio, si mostra con un logo che ricorda un cane, con colori e un’immagine fresca e questo ai bambini/ragazzi piace moltissimo. Per loro Plenitude è una realtà moderna e ambientalista… è cool. Non c’è lo spettro di ENI da restituire al fuoco sulfureo e al tormento, citando l’Amleto.
Le nuove generazioni non possono sapere cosa c’è dietro.
Non possono sapere che nel piano industriale di ENI, il taglio di emissioni previsto per i prossimi anni non basterebbe e che, eziandio, non presenterebbe una valutazione complessiva e trasparente dell’attività dell’azienda.
Non possono sapere che ENI non solo è il primo emettitore italiano di gas serra, ma è anche al 30º posto a livello globale.
Non possono sapere che ENI dice di contenere la CO2 emessa con schemi di offsetting forestali che nei fatti non stanno proteggendo le foreste che continuano a degradarsi.
Non possono sapere che ENI è stata accusata dalla Commissione per i diritti umani delle Filippine (CHR) per violazioni dei diritti umani che derivano dai cambiamenti climatici di cui questa e altre compagnie di combustibili fossili e del cemento sono responsabili.
ASSEMBLEE E PROTESTE
Durante l’ultima assemblea degli azionisti di ENI, avvenuta l’11 maggio, che stranamente si è tenuta ancora a porte chiuse e senza azionisti, c’è stato l’intervento di ReCommon e Greenpeace per ricordare a tutti che non è giusto che i colossi delle fossili antepongano il loro profitto alla sicurezza delle persone e del pianeta stesso.
Gli attivisti delle due ong si sono appostati nei pressi dello storico stabilimento dell’azienda presso il Porto di Marghera e hanno aperto uno striscione con la scritta ENI KILLER DEL CLIMA.
Secondo quanto contenuto nell’analisi della strategia di decarbonizzazione di ENI al 2050 – pubblicata dall’autorevole associazione francese Reclaim Finance, con cui hanno collaborato Greenpeace e ReCommon – i piani dell’azienda petrolifera non sono in linea con quanto richiesto dagli scenari “net zero” dell’IPCC e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia per limitare l’aumento della temperatura media globale entro 1,5°C ed evitare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici.
LA GIUSTIZIA VI ATTENDE
Per quanto stiamo facendo quindi le società oil&gas per ripulire la loro reputazione, sono fiduciosa che la sempre più condivisa sensibilità ambientale e sociale e che l’evolversi della giustizia, potranno bloccare comunicazioni e pubblicità fuorvianti a protezione dei consumatori.
Mi appello infatti al verdetto della corte olandese contro Shell che ha dato ragione a un gruppo di ONG e a oltre 17mila cittadini che le hanno appoggiate. Si tratta di una causa storica che vede il colosso anglo-olandese dover ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra del 45%, entro il 2030, rispetto ai livello del 2019. Sta entrando infatti nella disciplina giuridica il giudizio sulla responsabilità di ecocidio.
Speriamo che ce ne siano molte altre così, soprattutto considerando l’attuale situazione di emissioni delle maggiori compagnie petrolifere mondiali.